Si chiama Rankl ed è una proteina in grado di "infiammare" il fegato e di causare in questo modo il diabete di tipo 2. La scoperta, di enorme importanza perché potrebbe aprire la strada a una terapia innovativa in grado non solo di trattare ma forse anche di prevenire il diabete di tipo 2, è il frutto di complesse ricerche condotte nell’arco di una ventina d’anni da vari gruppi di ricercatori italiani (Ospedale di Brunico, Università di Verona, Università Cattolica del Sacro Cuore) in collaborazione con altri gruppi europei. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Nature Medicine domenica 10 febbraio.
Sul fronte epidemiologico, determinante è stata l’osservazione, fatta nella popolazione di Brunico (Bolzano), che la presenza di elevate concentrazioni nel sangue di Rankl rappresentano un forte e indipendente predittore di diabete di tipo 2. «Rankl – spiega Enzo Bonora dell’Università di Verona, presidente eletto della Società italiana di diabetologia (Sid) – è una proteina che svolge un ruolo importante nei processi di infiammazione presenti in malattie come l'artrite reumatoide e l'artrite psoriasica gli stessi processi di infiammazione sono coinvolti nella patogenesi del diabete e delle malattie cardiovascolari».
I ricercatori sono andati dunque a testare sugli animali da esperimento l’ipotesi che, bloccando il Rankl a livello sistemico e nel fegato in topi da esperimento diabetici, si potesse riuscire a ottenere un miglioramento della sensibilità insulinica a livello del fegato e dunque un calo della glicemia. Per verificare se elevati livelli di Rankl potessero avere un ruolo causale nel determinare il diabete, un gruppo di ricercatori tedeschi ha modificato geneticamente alcuni topi (aggiungendo o levando la proteina), confermando così che essa è effettivamente coinvolta nel metabolismo del glucosio. «È stato anche osservato – spiega Andrea Giaccari dell’Università Cattolica di Roma e consigliere della Sid – che, nei topi resi diabetici, bloccare Rankl comporta un miglioramento delle alterazioni responsabili del diabete. In particolare bloccare questa proteina aumenta la capacità del fegato di rispondere all'insulina e riduce l'eccessiva produzione epatica di glucosio, un'alterazione metabolica tipica del diabete tipo 2».
Queste scoperte sono state ottenute grazie a collaborazioni con ricercatori dell'Università di Innsbruck in Austria, Cambridge in Inghilterra e Harvard negli Stati Uniti. Lo studio riveste una grande importanza perché rappresenta la prima dimostrazione clinica, confermata da studi molecolari sull'animale, del ruolo dell’infiammazione cronica nell’insorgenza del diabete tipo 2. «La migliore definizione del ruolo di Rankl – conclude Bonora – e ulteriori dettagli sui meccanismi molecolari coinvolti potrebbe permettere, in futuro, di sviluppare anche nuovi farmaci per il diabete».
«I risultati appena pubblicati su Nature Medicine – commenta Stefano Del Prato, presidente della Sid – sono un esempio di quanto la ricerca può e deve fare nella lotta contro la malattia diabetica e del valore della ricerca italiana. Se fino a pochi anni fa la terapia del diabete era il risultato di osservazioni casuali, oggi la ricerca dei rimedi passa attraverso l’identificazione di specifici meccanismi coinvolti nello sviluppo del diabete e quindi della possibilità di correggerli.