Da trent’anni impegnata nel volontariato, la presidente dell’Associazione diabetici delle provincia di Milano ci parla delle esigenze fondamentali dei pazienti, a partire da una educazione sanitaria che dia piena padronanza sulla propria patologia
Sapere è potere. Secondo Maria Luigia Mottes, presidente dell’Associazione diabetici della provincia di Milano dal lontano 1982, ciò che innanzitutto serve ai pazienti è la piena conoscenza del loro diabete affinché possano gestire direttamente la propria condizione con consapevolezza.
“Il primo diritto del diabetico -dice- è quello alla formazione, cioè a ricevere quell’educazione sanitaria che gli permetta di conoscere adeguatamente il suo status e soprattutto i mezzi con cui intervenire praticamente, ogni giorno, per poter vivere bene, perché il diabete dura 24 ore su 24 per tutta la vita. Quello che auspico è che vi sia un maggior impegno nell’insegnare al diabetico, ma anche al familiare o al genitore, come agire su tutto quello che alza o abbassa la glicemia, su come interagiscono alimentazione e terapia, su cosa e quanto mangiare e come regolare la cura in base a ciò che si mangia. L’autogestione non è certo esclusione del medico, ma il coinvolgimento attivo del paziente, che permette anche al servizio di diabetologia e al personale sanitario di ottenere un migliore e più facile trattamento della persona. Ma su questa strada c’è ancora molto da fare”.
Mottes sa bene di che cosa parla: diabetica dal 1967, oltre a guidare l’Associazione della provincia di Milano da un trentennio, è anche presidente del Coordinamento Lombardia associazioni diabetici (Clad) -che riunisce le 13 maggiori realtà lombarde- e vicepresidente di Diabete Forum (che raggruppa le associazioni di tutta Italia), veste nella quale ha collaborato attivamente alla stesura del Manifesto dei diritti della persona con diabete, sottoscritto da Diabete Italia e dall’Associazione parlamentare per la tutela e la promozione del diritto alla prevenzione.
Nella sua lunga attività con l’Associazione -che, forte soltanto dei suoi propri mezzi, organizza corsi per i pazienti tenuti da medici e operatori sanitari, promuove screening gratuiti nelle piazze, fornisce informazione e consulenza a tutto campo, offre aiuto anche psicologico- Mottes ha verificato con mano che sul fronte della formazione vi sono molte carenze: “Ci troviamo spesso di fronte a persone con diabete a digiuno di informazioni e ad altre che ne ricevono di troppo scientifiche e mediche e non pratiche e concrete. Queste conoscenze le dovrebbe dare innanzitutto il servizio di diabetologia, ma non necessariamente il diabetologo: all’interno dei centri ci dovrebbero essere gli educatori, i tutor, come li chiamano in America, una figura che in Italia manca, ma che potrebbe ben essere coperta dagli infermieri. Bisogna portare l’infermiere a essere un vero e proprio educatore, mentre il diabetologo si occupa della parte terapeutica e fa da supervisore”.
Mottes può testimoniare per esperienza diretta che tanti medici e infermieri “lavorano bene con il paziente e poi ci aiutano moltissimo, per esempio sugli screening, sono sempre disponibili, compatibilmente con i loro tanti impegni”, ma rileva che uno degli ostacoli a una efficace educazione sanitaria è la mancanza di tempo. “Il diabetico deve avere il giusto tempo per arrivare alla consapevolezza della sua situazione e del modo in cui gestirla -osserva- Per ottenere ciò occorre parlare, educare, convincere, fare riflettere, verificare se il paziente ha capito, cose che oggi con i tempi ristretti dedicati alle visite è improbabile che possa avvenire. Per questo l’infermiere-educatore deve avere più tempo da dedicare al paziente per dargli maggiore conoscenza”.
Quanto sia cruciale il fattore tempo lo dimostrano i corsi di educazione residenziali di qualche giorno, promossi dalle associazioni come quella diretta da Mottes, nei quali i pazienti fanno una full immersion sul diabete ascoltando e dialogando con medici e infermieri e confrontandosi tra loro: l’esperienza rivela che ne escono più informati e coscienti. “Mi rivolgo a tutti i medici -dice in proposito Mottes- perché sappiano che attraverso le associazioni possono avere un valido aiuto nell’educazione delle persone con diabete”.
In alcuni casi esiste però anche un problema culturale, secondo Mottes: “C’è anche una parte della classe medica vecchio stile, rimasta un po’ indietro, che vede il diabetico come la persona che ti sta davanti, e non quella che ti sta a fianco, ciò che invece noi vorremmo”.
L’appello della presidente è quindi per un maggiore coinvolgimento della classe medica e sanitaria, esigenza che riguarda anche i medici di medicina generale, che hanno in cura i tanti pazienti che al centro diabetologico vanno soltanto una volta l’anno (di solito, diabetici di tipo 2): “I medici di famiglia devono avere un ruolo centrale, collaborare con il diabetologo, farsi carico del diabetico a 360° e dargli tutte le informazioni e l’educazione sanitaria di cui ha bisogno. Tutto questo non succede regolarmente: ci sono gravi carenze che emergono nei nostri screening quando incontriamo persone con valori glicemici molto alti e scarsa sensibilità e conoscenza del problema. E qui c’è ancora molto da lavorare, anche sulla formazione in materia dei medici di base”.
Anche le istituzioni sanitarie devono fare la loro parte più di quanto accada oggi, spesso perché preoccupate anzitutto di risparmiare. “La sanità deve fare salute e non soldi -dichiara perentoriamente Maria Luigia Mottes- Se si cerca solo di spendere di meno e non si guarda all’efficacia degli interventi per il diabetico, magari i soldi risparmiati sul momento si vedono subito, ma domani si vedranno le complicanze, ben più costose per tutti. E’ una logica sbagliata: il paziente deve essere tutelato oggi, ma anche per gli anni a venire”.
Per esempio, non si può, per ragioni di mero taglio dei costi, negare al paziente l’accesso alle migliori soluzioni terapeutiche e diagnostiche: “Il diabetico -osserva Mottes- deve poter disporre degli strumenti più aggiornati e all’avanguardia e poter usare quelli con i quali si trova meglio e trovarli facilmente sul territorio. Del resto, noi ci siano sempre battuti anche per far sì che la persona ottenga dal servizio sanitario tutto quello che la legge prevede e ciò che il medico prescrive”.
Dal canto loro, le Associazioni dei pazienti svolgono un gran lavoro, che spesso è di supplenza, colma un vuoto a cui forse non si dovrebbe porre rimedio soltanto grazie a donne e uomini di buona volontà. Di sicuro il loro lavoro è indispensabile: “Noi ci mettiamo a disposizione per collaborare con tutti e facciamo quello che riteniamo più utile: non ci sono linee guida che dicano che cosa devono fare le associazioni, però pensiamo di dare un valido aiuto nell’educazione e nel sostegno alle persone con diabete. Per questo abbiamo chiesto al ministero della Salute di riconoscere alle associazioni un ruolo preciso nell’ambito della sanità”.
Il riconoscimento non è sinora arrivato, ma ha ragione Mottes a chiederlo, perché delle associazioni tutti hanno bisogno, non soltanto i pazienti, ma anche chi dirige la cosa pubblica: “A me fa molto piacere -confida la presidente- partecipare ai gruppi di lavoro dove si approvano le procedure per l’assistenza, perché chi amministra e legifera spesso non sa bene quali sono le problematiche reali. Bisogna essere diabetici per sapere che cosa serve”.